A HOLE CAN MAKE A DIFFERENCE

Galleria Neon, Bologna, 2009, 2’ 29”

Project by Roberta Cavallari, Caterina Curzola

A HOLE CAN MAKE A DIFFERENCE. The video was projected in several museum spaces, including Palazzo Zenobio degli Armeni in Venice, the Durini Foundation in Milan curated by Alessandro Riva, and exhibition spaces such as Le Officine Minganti in Bologna, curated by Piero Deggiovanni. The concept behind this project is the liberation of the subject from clichés and media stereotypes, positioning itself as a critique of cultural conformism and trends. In the video “A hole can make a difference”, Roberta Cavallari’s head is covered by a white cloth that hides her eyes, mouth, and ears. She then uses scissors to cut the fabric, liberating only the mouth, the central focus. To quote Piero Deggiovanni: “The veil denies the somatic traits, hides them, and neutralizes them in the normative and bureaucratic anonymity of convention. The performer tears the veil, tears the convention, contradicts the norm and its bureaucratic implementation. She frees the person, the subject, the identity, and the body, of which we only see the mouth… Once the new identity is freed, triangles of light spring from the hole-wound, bursting fiercely into the air, filling it with new energy.” Light emerges from the hole in the form of digital luminous triangles, almost like a flow, a gesture of freedom, perhaps a surge? It is a symbolic act that hopes for a liberation from a condition of constraint and oppression.

A HOLE CAN MAKE A DIFFERENCE. Il video è stato proiettato in diversi spazi museali, tra cui Palazzo Zenobio degli Armeni a Venezia, la Fondazione Durini a Milano a cura di Alessandro Riva, e spazi espositivi come Le Officine Minganti a Bologna, a cura di Piero Deggiovanni. Il concetto alla base di questo progetto è la liberazione del soggetto dai cliché, dagli stereotipi massmediatici, e si pone come critica ai conformismi culturali e alle tendenze. Nel video di “A hole can make a difference”, Roberta Cavallari ha la testa coperta da un drappo bianco che nasconde occhi, bocca e orecchie, poi, con una forbice, taglia la stoffa liberando solo la bocca, nucleo centrale di interesse. Per citare Piero Deggiovanni: “Il velo nega i tratti somatici, li nasconde, li neutralizza nell’anonimato normativo e burocratico della convenzione. La performer lacera il velo, lacera la convenzione, contraddice la norma e la sua attuazione burocratica. Libera la persona, il soggetto, l’identità e il corpo, di cui però vediamo solo la bocca… Non appena liberata la nuova identità, triangoli di luce scaturiscono dal buco-ferita, zampillano impetuosi nell’aria, riempiendola di energia nuova.” Dal foro emerge luce sotto forma di triangoli luminosi digitali, quasi un flusso, un gesto di libertà, un rigurgito forse? È un atto simbolico che auspica una liberazione da una condizione di costrizione e oppressione.

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